I cavalli selvaggi del Kondudo

Kondudo-cavalliLa montagna a W chiamata Kondudo svetta sui tetti di Harar una città murata risalente all’anno mille e che, attualmente viene considerata come l’unica del sud del Sahara nonché patrimonio dell’umanità per l’UNESCO: la montagna è un’Amba ed è altra oltre tremila metri.

Per potersi arrampicare sulla sua vetta bisogna percorrere delle piste lunghe oltre settanta chilometri. Tali piste attraversano Babile che viene chiamata valle delle meraviglie per via delle sue formazioni rocciose parecchio strane. Si passa, però, anche per il paese chiamato Gursum. Da questo paesino, poi, si ha accesso ad una pista in pessime condizioni che permette di poter raggiungere Yaya Guda. Da quest’altro paesino si deve salire per oltre tre ore a piedi. Il percorso vale la pena perché il paesaggio di cui si può godere nel corso della salita è davvero impressionante: si può avere una vista completa sulla piana somala dell’Etiopia fino ai confini con la ex Somalia Britannica.

Nel corso della salita non è difficile imbattersi in qualche abitazione o coltivazione come quella dell’albero stimolante Chat. La vegetazione appare parecchio selvaggia. Se si sceglie di raggiungere la vetta direttamente si riesce a passare per una zona dove si può ammirare una particolare vegetazione: si tratta della macchia afro-alpina che appare quasi intatta costellata da una serie di sassi scheggiati. Lungo duecento metri si può ammirare la savana che si estende per tredici ettari. Si arriva alla cima piatta dell’Amba.

Nel 2008 il Professor Viganò diresse una spedizione italiana su quella montagna al fine di cercare una rara popolazione di cui aveva avuto delle notizie sbiadite dalla storia e dai media. Il Professore, insegnante di Ecologia a Varese e titolare dell’industria del latte in Etiopia promuoveva l’immagina turistica del paese stesso. Nel corso della spedizione riuscì a trovare una cavalla dal manto grigio chiaro, quasi bianco. La cavalla apparteneva ad una popolazione di dieci cavalli. Essi vivevano allo stato brado ed erano gli ultimi dell’Africa dell’Est anche se erano conosciuti da oltre duecento anni dalla popolazione locale. Grazie a questa scoperta, la spedizione fu in grado di smentire la notizia che in realtà i cavalli si trovassero su un’altra montagna poco lontana da lì chiamata Gara Muleta.

Già nel 2007 il Professor Viganò aveva condotto un’altra spedizione italiana in quei luoghi. Quella spedizione, però, aveva una missione geografica. A sostenerla anche un gruppo Franco ed Etiope. La missione ha misurato al metro il Ras Dejen noto anche come Dashen grazie alla tecnologia del GPS differenziale. Quella montagna, nota come la quarta più alta in Africa e la ventitreesima nel mondo, non era stata misurata bene in passato tanto da aggiudicarsi il titolo di vetta peggio misurata nel pianeta. Se prima alcune stime la volevano alta tra i 4440 e i 4663 metri, la misura ufficiale è ora di 4550 metri. Fu proprio nel corso di quella spedizione che il professore raccolse delle informazioni su quei cavalli selvaggi di cui aveva sentito parlare. Perciò, la spedizione che seguì era composta da veterinari, biologi, ecologi nonché appassionati di cavalli. La partenza avvenne i primi di gennaio del 2008 ma la spedizione portò al rilevamento di un solo esemplare, appunto la cavalla femmina dal colore grigio/bianco. La cavalla di circa 12 anni fu visitata con attenzione e venne raccolto anche il suo DNA. In questo modo, il DNA poteva essere confrontato con quello di altri cavalli della zona e, in generale, dell’intera Etiopia.

L’animale appariva sano e non aveva ricevuto alcun contatto con l’uomo. Questo si poteva percepire chiaramente dal suo portamento. Non aveva mai lavorato come si poteva evincere dalla sua muscolatura e dal suo ventre. Gli zoccoli non erano mai stati ferrati. Gli altri membri della sua popolazione non furono trovati. Nel corso della spedizione il gruppo venne in contatto con Mohammed Yasin, un contadino della zona che cercava in tutti i modi, da oltre dieci anni, di addomesticare gli animali senza riuscirci. Forse fu proprio lui a trattenere i piccoli puledri che tratteneva per tre mesi l’anno nel corso della raccolta dei cereali. Anche se era deriso da tutti in zona perché gli animali non erano bravi a trasportare carichi. Dopo essere stati liberati si ricongiungevano al gruppo. I cavalli si erano insediati attorno alla pozza dell’Amba che, all’epoca della spedizione, non si era ancora seccata. Con loro anche alcune vacche ed asini.

Già ventitré anni fa la VOA, la radio del Governo statunitense fece riferimento ai cavalli del Kondudo. Poi l’attenzione mediatica cadde nel dimenticatoio. Il colonnello della zona che si chiamava Kasahun testimoniò di averne visti in passato oltre dieci circa cinquanta anni prima. Anche allora c’erano delle vacche e alcune abitazioni. Il Governo etiope aveva deciso di tracciare con dei punti rossi alcune zone in cui gli esseri umani non potevano insediarsi ma la regola non fu rispettata mai.

Anche sulla montagna chiamata Stinico, nome dovuto ad un’ufficiale a servizio del regime fascista che morì nel corso di un conflitto nella Seconda Guerra Mondiale, all’interno delle sue grotte c’erano delle pitture rupestri che raffiguravano alcuni cavalli. Sia sul monte Goba che sullo Yaya Guda c’erano, invece, grotte profonde con chirotteri. Quei luoghi, però, sono impervi e difficili da raggiungere tanto che le non arrivano alcuni generi alimentari ne acquedotti. L’acqua è fornita da alcune sorgenti. Vige, forse anche per questi motivi, molto disinteresse per quelle zone anche se panoramicamente sono parecchio ricche.

Nella zona, all’epoca della spedizione del Prof. Viganò, potevano ammirarsi oltre tredici ettari e una pozza in grado di sostentare circa 10/15 cavalli che si erano insediati lì da oltre duecento anni. In passato, sicuramente c’erano altri animali ma i leoni e gli esemplari di giaguaro avevano provveduto ad eliminarli. Erano soltanto sei le case in prossimità della cima.

Probabilmente, oggi, a causa dell’operato del contadino Mohammed e dell’assenza di una regolamentazione ben precisa che abbia tutelato quei cavalli, non sono più in quelle zone. I cavalli selvaggi erano quindi a rischio estinzione e la spedizione si poneva diversi obiettivi per poterli salvaguardare. Ad esempio voleva poter continuare le ricerche sul campo estraendo DNA; offrire a Mohammed Yasin un posto di lavoro come guardiano della zona senza appropriarsi indebitamente dei cavalli e liberando quelli di cui si era impossessato. Il Prof. Viganò voleva che i cavalli potessero essere riabilitati e condotti in cima mentre il governo doveva proibire agli abitanti di abitare quelle zone. Inoltre, avrebbe voluto realizzare un lodge turistico a basso impatto sempre se il governo avrebbe reso praticabile la strada. Si sarebbero, di conseguenza, formare delle guide turistiche e personale per il lodge. In questo modo, l’immagine della zona sarebbe stata promossa e le attività turistiche avrebbero potuto iniziare.

Dal punto di vista governativo il Professore e la sua spedizione propose al governo di poter erigere un Animal Sanctuary che fungesse da riserva per i cavalli. Inoltre, le strade avrebbero dovuto essere asfaltate e le forze di polizia maggiorate. Il Governo doveva farsi artefice della promozione territoriale.

Il Professore diffuse la scoperta a livello internazionale e non soltanto con il Ministro del Turismo in Etiopia. Tra le autorità coinvolte c’era l’Africa dell’UNEP e l’Environment Protection Agency dell’Etiopia. La notizia della spedizione all’epoca, fu diffusa dalla BBC. Il Prof. ha poi ricevuto la delega dalla EPA etiope un mandato per tentativo di conservazione. Successivamente, il suo progetto fu finanziato in parte anche dalla onlus spagnola Selvans

Il Vigano’ ha ricevuto delega dalla EPA Etiopica, equivalente del Ministero delle Risorse Ambientali e dall’UNEP mandato per un tentativo di conservazione. L’UNEP partecipera’ anche finanziariamente.

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